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on Febbraio 27, 2017

Dall’intervento di Alessandro Rondoni durante la conviviale del Rondo Point
e di “ForzARomagna” su “Vivere la cultura dell’incontro”
(Capocolle di Bertinoro, 25 luglio 2016)

“Vivere la cultura dell’incontro” è una frase semplice ma con un grande significato. Prendiamo la prima parola: vivere. Nel momento in cui nel mondo, attraversato dagli attentati, c’è chi sceglie di morire noi scegliamo di vivere. Oggi, quindi, non vi sembri poco incontrarci, visitare la Pieve di Polenta e poi cenare insieme a Capocolle. Di vivere succede, ma vivere con un senso è diverso ed è di più. Cercare le cose belle, infatti, quelle significative, quelle che durano, è una scelta, un cammino da compiere. Anche per questo ci sintonizziamo idealmente e mandiamo un pensiero ai giovani che stanno partendo per la Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia. Io ho vissuto tante Gmg, dove ho visto Giovanni Paolo II, e vorrei pertanto che accompagnassimo spiritualmente i trecento giovani di Forlì e i novantamila di tutta Italia, che in questi giorni sono in Polonia.
C’è chi sceglie l’arma del terrore, chi decide di fare esplodere una bomba, noi invece decidiamo di far esplodere la vita, un’amicizia, un cammino, un’esperienza umana. Fare questo non è scontato, anzi è molto impegnativo. Oggi siamo abituati a credere che il benessere sia una linea retta e infinita, ma non è così. Bisogna infatti saper riconquistare ogni giorno le cose belle che già si possiedono: i rapporti in famiglia, il lavoro, la capacità di saper fare squadra, di produrre qualcosa di utile per sé e per gli altri. Anche difendere la democrazia non è scontato. È un bene prezioso che abbiamo in Italia, in Europa, e in questo angolo di mondo che ancora ci salvaguarda dalle guerre, l’unico rimasto, insieme a pochi altri. Lo ribadisco: nulla è scontato, soprattutto se consideriamo anche la crisi economica globale.
Negli ultimi dieci anni c’è stato un cambiamento epocale, con la tecnologia che ha trasformato tutto, compreso il mio mestiere di giornalista, che sembrerebbe ormai finito. Adesso tutti possono scrivere, ma chi garantisce l’affidabilità delle notizie? Su facebook troviamo di tutto, ma ci domandiamo sempre se è vero? La velocità della tecnologia, che è un bene, può diventare anche un dramma, proprio come la velocità dei cambiamenti nel mondo della finanza e in quello del lavoro. Forse nei prossimi dieci anni scompariranno professioni come quella del notaio, del giornalista e molte altre. Esse cambiano perché hanno una vita, proprio come le persone.
Nella crisi globale c’è anche l’immigrazione, un fenomeno di cui già si sapeva. Ma un conto è conoscere stime, dati, statistiche, un conto è vedere persone sotto casa con delle situazioni drammatiche. Ricordo che prima di tutto viene l’uomo, e dopo viene l’analisi sociale e politica. Poi c’è, ovviamente, la crisi economica, che colpisce duramente e fa chiudere le aziende anche nel nostro territorio, che tocca l’edilizia, l’industria, l’artigianato, il commercio, l’editoria. Vedete, quindi, quanto è successo di drammatico in questi dieci anni!
Ci sono stati cambiamenti anche nel mondo della Chiesa, con un Papa che si è dimesso. Una cosa mai vista prima. In dieci anni abbiamo vissuto tutto questo, ma non eravamo preparati. In dieci anni sono cambiati i fondamentali. Una volta, se si lasciava in eredità a un figlio una casa gli si procurava un bene, oggi gli si lascia un debito (…).
Troppa gente adesso, invece della testa, usa la pancia. Capisco la protesta, ma questa deve voler dire pro-testa, cioè usare la testa, non solo l’istinto. Bisogna impegnarsi. L’impegno è un concetto fondamentale, un’esperienza da fare. Un motivo per impegnarsi è quanto stiamo cercando anche questa sera perché siamo convinti che oggi sia davvero ancora possibile costruire qualcosa di bello, di importante, di serio.
Permettetemi di pensare a tutte le vittime degli attentati. Nelle settimane scorse al Rondo Point abbiamo seguito le partite di calcio degli Europei, anche se devo ammettere che era drammatico andare lì per vedere la Nazionale, avere voglia di festeggiare, distribuire i palloncini ai bambini di tutte le nazionalità, fare insieme il tifo, e contemporaneamente avere la morte nel cuore perché sentivamo quello che succedeva a Dacca piuttosto che in Iraq o a Nizza, in quei terribili attentati dove sono morte centinaia di persone. È davvero drammatico vivere così. Ma mentre il mondo brucia noi non possiamo scegliere solo di distrarci. Certo facciamo come tutti, ci difendiamo con la nostra capacità di resistenza, però abbiamo un grande potere, quello di decidere della nostra vita, e quindi di vivere la cultura. Potevo dire vivere il divertimento, vivere la politica. No. Dico che prima di tutto bisogna vivere la cultura, che per noi non è un insieme nozionistico di cose, ma è la capacità di giudicare la realtà, di guardarla in faccia, di conoscere le persone, di dare un senso alle cose che si fanno. Per noi la cultura è una fondamentale esperienza da vivere. Quando essa manca vengono meno non solo la dignità della persona, ma anche la possibilità di conoscenza. Per noi cultura significa conoscere le cose, le persone, la propria moglie, i propri figli, gli amici, i colleghi, insomma conoscere la realtà. Significa conoscere quello che abbiamo visto anche oggi, scendendo da Polenta, in questa bellissima traversata nella bellezza delle nostre colline. Conoscere, quindi, giudicare, e vivere la cultura dell’incontro. Stare da soli, chiusi davanti al televisore, con quello che si ha già, non basta. È necessario vivere la voglia di aprirsi e utilizzare la conoscenza come dinamica di un rapporto, di un incontro. Se incontrare, passare del tempo con gente che si conosce, già amica, è un piacere, incontrare gente nuova, che non si conosce, che si vede per la prima volta, che viene da altre parti, può essere ancora più bello. Dilata, infatti, la conoscenza personale, la capacità di rapporto, di tessere le relazioni che rendono ancora più prezioso l’ordinamento civile e democratico. La democrazia non nasce dai partiti, soprattutto da quelli in crisi che vediamo oggi, ma da un popolo che sa vivere in maniera ordinata, civile, che ha valori, principi, sa esprimerli in maniera pubblica, dignitosa, e sa proporli agli altri. La politica e i partiti arrivano dopo, le istituzioni devono riconoscere quello che già c’è, senza inventare nulla.
La società è il primo elemento che si crea e questa serata è la dimostrazione che è ancora possibile un insieme di persone libere, con le loro idee, le loro vite personali, familiari, il loro lavoro. Questa è la societas: mettersi insieme ed essere persone che, mentre tutti hanno paura e tremano (e anche noi abbiamo paura quando succedono gli attentati), hanno comunque voglia di incontrarsi, di stare insieme, di comunicare. Capite, quindi, quanto sono importanti iniziative come quella di stasera in un tempo così drammatico (…).
La miglior semina avviene nella conviviale di oggi, in cui tutti abbiamo trovato un momento per dialogare e confrontarci. Questa è la vera novità. Tutti pensano che la novità sia l’apparire di un nuovo leader in televisione. Tutti cercano nei talk show la verità su cui affermare la propria idea. Non è così. La verità la troviamo qui, in mezzo a noi, fra i nostri tavoli, mettendoci insieme. La troviamo cercando dal basso, dal marciapiede, come ogni giorno facciamo anche al Rondo Point.

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